Ti piacciono le serie tv crime? Secondo la psicologia c'è un motivo preciso

Per molti giovani, seguire questi casi rappresenta un modo per confrontarsi con le incertezze del mondo moderno e per elaborare le proprie paure.

Il fascino per il true crime continua a dominare il panorama dell’intrattenimento, con un seguito crescente soprattutto tra le nuove generazioni. Serie come Il caso Yara, disponibile su Netflix, e la prossima uscita di Avetrana su Disney+ testimoniano l’enorme interesse attorno a questo genere.

Ma cosa si cela dietro questa attrazione verso storie di cronaca nera? A fare luce su questo fenomeno è la dottoressa Teresa Capparelli, psicologa e psicoterapeuta ad indirizzo gestaltico integrato.

L’ascesa del true crime in Italia e nel mondo

Nell’estate 2024, Il caso Yara ha catalizzato l’attenzione di milioni di spettatori, proponendo un racconto dettagliato del delitto di Yara Gambirasio, con la partecipazione diretta di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo. La presenza dell’imputato ha riacceso dibattiti accesi, soprattutto sui social, tra revisionisti e sostenitori della giustizia, evidenziando il potere dei prodotti di true crime nel polarizzare l’opinione pubblica.

Parallelamente, il successo del podcast Indagini di Stefano Nazzi, di progetti come Veleno di Pablo Trincia, o dei profili social dedicati a cronache nere testimoniano quanto questo genere abbia permeato vari media. Un fenomeno simile si osserva anche all’estero: negli Stati Uniti, durante l’estate 2023, il caso dell’omicidio di tre studentesse universitarie in Idaho ha dominato TikTok, con creatori di contenuti che si improvvisavano investigatori, ricostruendo scene del crimine e analizzando i dettagli più nascosti.

Psicologia del fascino verso il male

Secondo la dottoressa Capparelli, il successo del true crime si basa su un meccanismo psicologico profondo. «Il true crime offre una finestra su un mondo lontano dalla nostra quotidianità, permettendoci di esplorare il male in modo sicuro», spiega. Questi racconti attivano nel cervello le stesse aree del piacere stimolate da thriller e horror, risvegliando una curiosità innata verso comportamenti umani estremi e devianti.

La specialistica cita anche l’esperimento della Prigione di Stanford, che dimostra come il male possa emergere anche in persone comuni, ricollegandosi alla nozione freudiana di pulsione di morte, la tendenza umana verso comportamenti autodistruttivi. «Il male ci affascina perché ci permette di esplorare i confini della moralità senza rischi diretti, offrendoci un confronto con le nostre paure più profonde in un ambiente controllato», aggiunge la psicologa.

Emozioni e impatto sociale del true crime

Le storie di cronaca nera suscitano una gamma complessa di emozioni, in particolare empatia verso le vittime e i loro cari, ma anche una sorprendente comprensione degli aspetti umani degli assassini quando emerge il loro vissuto traumatico. Questo approccio contribuisce a umanizzare anche i carnefici, inserendoli in un contesto più ampio di cause e conseguenze.

L’attrazione di GenZ e Millennials per il true crime riflette l’era digitale, in cui l’accesso illimitato a informazioni ha abbattuto tabù e stimolato la curiosità verso temi oscuri e complessi.

Dal punto di vista dei benefici, la fruizione di contenuti di questo genere soddisfa un bisogno sano di adrenalina, aiuta a esorcizzare le paure e a migliorare la consapevolezza del pericolo e la capacità di risoluzione dei problemi. Tuttavia, la dottoressa Capparelli mette in guardia dai rischi di un consumo eccessivo, che può generare ansia, paranoia e desensibilizzazione alla sofferenza, oltre a favorire un voyeurismo morboso che distorce il rispetto verso le vittime reali e le loro famiglie.